Presentazione


Non respingere i sogni perché sono sogni.
Tutti i sogni possono
essere realtà, se il sogno non finisce.
La realtà è un sogno.

Inizio citando questi versi di Pedro Salinas (Non respingere i sogni) perché mi pare riassumano bene il senso del mio romanzo. La realtà che è sogno e il sogno che è realtà:
  • La realtà di Andrea, che è una donna nata maschio.
  • Il sogno di Andrea di essere Sofia, cosa che la società non accetta.
Viene spontaneo chiedersi qual è il sogno e qual è la realtà. O è un incubo?! Un incubo che gli psicologi chiamano disforia di genere (Gender Identity Disorder). Non è una malattia, non è legato ai gusti sessuali, non è omosessualità. È lo stato mentale di chi avverte il proprio sesso come diverso da quello biologico.
Che non si tratti di un disturbo della sessualità, ma di genere, è confermato da vari studi sull’argomento ed è recente (20 febbraio 2012) la notizia di una transessuale inglese che ha solo cinque anni.
Sorge spontaneo chiedersi come si comporta chi è affetto da disforia di genere (mi si passi il termine “affetto”, visto che non si tratta di una malattia). Per comprenderlo, riporto una frase detta a conclusione di un celebre monologo della transessuale Agrado nel film di Pedro Almodovar “Tutto su mia madre”. Agrado, parlando della sua autenticità, dice:
“Una è più autentica quanto più assomiglia all’idea che ha sognato di se stessa”.

Questa autenticità diventa, quindi, paradigma dell’esistenza per una transgender e la storia, che io racconto, ne costituisce un valido esempio.
Per comprendere come la società si comporta nei confronti di queste persone, voglio ricordare un aforisma di Pier Paolo Pasolini:
Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un'ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore.
Il diritto alla “libertà di essere se stessi” appare a Pasolini come un qualcosa che viene percepito dalla gente come una sorta di dovere sociale, non come un qualcosa di veramente sentito. A tal proposito, nel mio libro, Sofia dice:
Devono ancora passare secoli prima che cambi il cuore della gente e si accetti veramente la diversità. Il rispetto, quando c’è, è solo formale..
La disforia nasce, quindi, secondo la psicologia, dal conflitto tra l’io e il sé; ossia, il conflitto tra:
  • la percezione che noi abbiamo di noi stessi per quello che siamo effettivamente;
  • la percezione che noi abbiamo di noi stessi in funzione della visione che gli altri hanno di noi.

A questo punto, diventa importante comprendere cosa spinge l’individuo a lottare per affermare il proprio “io”, a entrare in aperto conflitto con la società.
Per comprenderlo, citerò un altro film di Pedro Almodovar: “La pelle che abito”.
In questo film uno scienziato, un po’ geniale e un po’ folle, subisce due gravi lutti: la moglie muore carbonizzata in un incidente automobilistico, la figlia muore suicida a seguito di uno stupro o tentativo di stupro. Per vendicarsi, lo scienziato rapisce il giovane stupratore, lo opera e lo trasforma in una donna a cui dà le sembianze della moglie morta. Per evitare che il malcapitato si tolga la vita, gli crea una pelle indistruttibile, capace di resistere pure alla fiamma ossidrica.
Passano sei anni e il giovane sembra essere rassegnato a vivere nella pelle che abita. La coscienza e l’esigenza di dover uscire dalla gabbia emergono prepotentemente solo quando lo scienziato tenta di avere un rapporto sessuale con lui. Il suo io è rimasto maschio e si ribella! Con la scusa di andare a prendere un lubrificante, perché il rapporto è doloroso (alcune scene del film lasciano chiaramente capire che non può esserci un dolore fisico), si impossessa di una pistola e uccide lo scienziato e la di lui madre.
Questo film, pubblicato in contemporanea del mio romanzo, evidenzia una cosa che ritengo importante: sono le emozioni forti, come quelle provate in certi rapporti sessuali, che ci rivelano la nostra vera natura e ci spingono con veemenza a superare le gabbie.
Volendo scrivere un romanzo e non un saggio, mi sono posto il problema di come descrivere le emozioni, come coinvolgere il lettore fino a fargli provare la forza di quei contrastanti turbamenti. La soluzione a questo problema l’ho trovata ricordando una cosa che disse Federico Fellini a Nino Rota quando gli chiese di musicare Amarcord. Gli chiese una musica che doveva essere: allegra ma triste; moderna ma antica … Una musica che doveva essere tutto e il contrario di tutto.
Ho scelto, quindi, il linguaggio dei contrasti.
A questo linguaggio ho dato una connotazione verista riallacciandomi alla grande letteratura siciliana, senza imitare i grandi del passato o del presente ma seguendo una mia via nuova ed innovativa.
Per comprendere l’efficacia di questo linguaggio, riporto delle note critiche espresse da alcuni editori cui ho sottoposto il mio lavoro:
  • Un racconto crudo trattato con garbo.
  • Il linguaggio è adeguato e vincente, lo stile brillante e innovativo.
  • Una storia ben sviluppata e caratterizzata da un elevato registro narrativo.
Per completare il quadro, riporto alcune considerazioni espresse da Italo Calvino sul suo concetto di leggerezza.
È venuta l'ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. 
Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei tempi... Poi, l'informatica.
L’operazione che ho cercato di fare è un po’ alla Calvino.

  • Ho curato la musicalità della prosa perché riuscisse immediata, semplice e accattivante.
  • Prima di scriverli, ho recitato i dialoghi, misurando con scrupolo i tempi in relazione all’azione narrata.
  • Ho reso protagonista del libro la “leggerezza” del concetto di gabbia.
Chiudo il quadro con alcune considerazioni espresse da Albert Einstein sulla divulgazione scientifica:
Il fisico non può semplicemente lasciare al filosofo la considerazione critica dei fondamenti teorici; è lui infatti che sa meglio e che sente più nettamente dov’è che la scarpa fa male.
Per Einstein la divulgazione scientifica è innanzi tutto un’occasione per lo scienziato di riflessione sui problemi di metodo e di fondazione delle varie teorie. Per me, scrivere questo romanzo, è stato occasione di profonda riflessione critica sui concetti da me stesso formulati, sul loro fondamento scientifico, sul loro significato sia sul piano sociologico sia su quello psicologico.
Vi parlo di questo perché nel mio romanzo è celato un altro sogno di cui non vi ho parlato. È il sogno dell’autore, il mio sogno, di far comprendere al lettore la teoria psico-matematica delle Gabbie. Infatti, il libro si intitola “Le gabbie” e “Storia di una transessuale catanese” è il sottotitolo, non è al contrario.
La storia di Sofia è un pretesto, un esempio. Difatti, nel romanzo si legge a tal proposito:
La storia di Sofia, invece, a me pare chiaro che sia la storia della ricerca del proprio io, la storia di chi riesce a lasciare la gabbia per ritrovare se stesso. Ma le gabbie sono infilate l’una dentro l’altra, come una sorta di matriosca russa e, quando ne lasciamo una, ci ritroviamo inesorabilmente in un’altra, solo un po’ più grande.
E ancora:
Come Michelangelo vedeva già la pietà dentro un blocco di marmo e possedeva l’arte di togliere il superfluo rendendola a tutti visibile, così il matematico rende visibile a tutti i teoremi che sono già contenuti in nuce negli assiomi della sua teoria.
Normalmente siamo portati a vedere le gabbie mentali come qualcosa che è fuori di noi stessi che condiziona la nostra esistenza. Il mio modo di vedere è radicalmente opposto. La gabbia mentale è il nostro modo di pensare, la nostra struttura mentale. Tutti abbiamo una gabbia, anche se, normalmente, non la percepiamo come tale perché non è oppressiva. Secondo il mio punto di vista, la gabbia si comporta come una teoria matematica ed è quindi soggetta alle stesse limitazioni (teorema di Gödel). Ragionando in modo coerente non posso produrre pensiero che mi porti a mettere in discussione la gabbia stessa. Per uscirne devo ragionare col cuore. Il sentimento deve prevalere sulla ragione. Per questo motivo il romanzo tende a raccontare emozioni.
Non dico cosa succede nel caso in cui non si riesce a uscire dalla gabbia perché lo ha già fatto, mirabilmente, Giovanni Verga con “Storia di una capinera”. La capinera muore pazza!

Ettore Limoli

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